martedì 15 marzo 2016

Il lato oscuro dello sviluppo made in Italy in Etiopia

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per il Manifesto, 16 marzo 2016 

Il quotidiano “The Reporter” di Addis Abeba riportava qualche giorno fa la notizia del  contratto che verrà firmato  tra l’Ethiopian Electric Power e Salini Impregilo per la diga di Gibe IV in seguito alla recente decisione della  SACE di  finanziare l’opera con 1.5 miliardi di euro.  Qualche ora dopo sarebbe atterrato ad Addis Abeba il Presidente Sergio Mattarella, nella prima visita mai fatta da un presidente della Repubblica  italiano nel paese. Il presidente ha discusso con  le autorità etiopi di terrorismo, cooperazione, lotta alla povertà, migranti, energia e investimenti in una capitale abbellita a festa. Chissà se qualcuno gli avrà raccontato che ad Addis, città in grande espansione,  pochi mesi fa   sono stati massacrati  140 dimostranti  scesi in piazza in solidarietà con le popolazioni Oromo che vivono intorno alla capitale.  Protestavano contro l’Addis Abeba Master Plan che li avrebbe cacciati dalle loro terre. Il Master Plan venne abbandonato, ma a febbraio di quest’anno le forze di sicurezza continuavano a mietere vittime in Oromia: almeno 200 persone uccise e migliaia detenute senza processo. 
Omo ed Oromia – da tempo in fermento contro il governo centrale - sono regioni abitate da popolazioni la cui colpa principale  quella di vivere in terre ambite per progetti di sviluppo, tra cui la diga di Gibe III. Alla vigilia della visita di Mattarella, Survival International, movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni, ha comunicato di aver presentato un ricorso contro Salini-Impregilo al punto di contatto italiano dell’OCSE per le imprese multinazionali che dovrebbe vigilare sul rispetto delle linee guida OCSE.  Survival punta il dito sull’impatto che Gibe III avrà sulle popolazioni indigene dell’Omo Valley e sull’esistenza   del Lago Turkana, da cui dipende la sopravvivenza di almeno 300mila indigeni, cui nessuno ha chiesto il consenso previo o concesso le  compensazioni promesse. 
Di recente la questione delle grandi dighe e delle violazioni dei diritti umani è tornata alla ribalta con l’omicidio efferato di Berta Caceres in Honduras, rea di opporsi ad una grande diga nella sua terra inizialmente sostenuta anche dalla cinese Sinohydro, la stessa che è dietro il mega progetto di Gibe III e  Gibe IV. Salini-Impregilo  sta ora terminando la costruzione di una delle dighe più grandi del mondo, la GERD (Grand Ethiopian Renaissance Dam) la cui costruzione avrà un impatto grave sull’approvvigionamento delle acque del Nilo in Egitto. La diga alimentò gravi tensioni tra Etiopia, Egitto e Sudan che portarono alla conclusione di una dichiarazione di principi nel maggio 2015 nella quale i definivano diritti ed obblighi dei tre stati. Salini-Impregilo avrebbe  ottenuto l’appalto senza gara, per un progetto che - per l’alto rischio politico -  nessun finanziatore si è azzardato a sostenere, al punto che il governo etiope dovette emettere bond per raccogliere i fondi necessari. 
L’acqua e la terra d’Etiopia diventano così “commodities”, da immettere nel mercato globale anche a scapito dei diritti delle popolazioni che vivono in quelle terre da tempo immemorabile. Acqua e terra per produrre energia “pulita”.  Come nel caso denunciato nel 2012  da Re:Common, del coinvolgimento di un’impresa italiana, la Fri-EL Green Power nell’espansione di una piantagione di palma da olio nella regione della valle dell’Omo, un caso evidente di “land grabbing” per alimentare di biofuel la centrale termoelettrica di Acerra. Palma da olio per ridurre le emissioni di gas serra, e alimentare la “green economy” o  l’agribusiness.
 Il landgrabbing è un grande affare in Etiopia, paese che soffre l’impatto della siccità (l’ondata in corso è la più grave degli ultimo 30 anni)  e della fame. Si calcola che tra il 1995 ed il 2016 sarà stato trasferito nelle mani di investitori stranieri un totale di 7 milioni di ettari di terre coltivabili. Dal 2010 sono stati  espulsi dalle loro terre almeno un milione e mezzo di  indigeni,  nelle regioni di Gambella, Afar, Somali, Lower Omo, Benishangul-Gumuz.
Questo il lato oscuro della luna. In un paese descritto come un “enfant prodige” della crescita, un alleato essenziale nella lotta al terrorismo, un partner economico di tutto rispetto da corteggiare e riverire, una realtà che se guardata in filigrana rivela una serie di contraddizioni e nervi scoperti, caratteristica prima del paradigma dominante di sviluppo.  Contraddizioni anche targate Made in Italy. Forse per questo il Presidente si sarà guardato bene dal richiamare al rispetto dei diritti umani e del diritto alla terra dei popoli indigeni le autorità etiopi che per bocca del presidente Hailemariam Desalegn hanno invitato calorosamente le imprese italiane ad investire nel paese. “Ci vorrebbero tante Salini in Etiopia” ha detto. 

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